- Secondo te si deciderà, prima o poi?
- Non lo so davvero. Quanto tempo è ormai? Ho sempre dei problemi con il tempo.
- Un anno, undici mesi, dodici giorni e…uno di voi sa l’ora?
- Ah, ciao. Scusa, non volevamo. Però sai, non è mai chiaro quando…
- No, va bene. Mi ci sto abituando.
- Quindi…quando pensi che lo farai?
- Non credo dipenda da me. Voi credete dipenda da me?
- …
- Penso che, insomma, non è diverso per ogni persona?
- Sì, diverso. In un certo senso. Ma solo all’inizio.
- Ma per voi com’è stato?
- Io ero stanca. Tanto stanca. Mi ricordo come un abbandono, come quando hai una cosa in mano e poi non sei più concentrata sulla cosa e sulla mano e ti accorgi che hai allentato la presa, solo un poco, ma è stato abbastanza perché ciò che stringevi scivolasse via. E ti rendi conto che ti stava pensando, quella stretta.
- Stai parlando per niente: è andato di nuovo.
- Ah. Tu non gli rispondi mai: hai paura?
- Ma no, che paura, figurati. “Paura”. Ricordo la parola, la visualizzo assieme ad un senso di immobilità, ma cosa si prova me lo sono dimenticato. Tu no?
No, è solo che non so se sia corretto interagire così con lui. Se continuiamo a rispondere, a rassicurarlo, non lo farà mai.
- “Mai” è impossibile.
- Sì che è possibile: accadrà, perché accade sempre, ma non sarà lui ad averlo fatto e sarà stato tutto inutile. Gli succede addosso e non se rende conto.
- Ah, credi a quella storia, tu? All’oblio?
- Certo, che ci credo. Ci credo perché lo sapevo già da prima: l’avevo sognato. Quando ancora si sognava, s’intende:
lei proprio non voleva allentare la presa -per riprendere la tua metafora- e quando la cosa le è scivolata di mano, non se n’è accorta. Lo so perché l’ho vista in sogno, sperduta e confusa, col pugno vuoto chiuso stretto, convinta che ancora ci fosse qualcosa dentro. Così convinta di essere ancora lì, che per un attimo l’ho creduto anch’io. Solo una volta, è successo: non l’ho mai più rivista. Neppure qui. Credo che non sia più riuscita a trovarmi. Credo che non sapesse nemmeno più di avere qualcuno da cui tornare. Perché non si è resa conto di essere partita.
- Io ho sempre creduto che fosse una storiella per spaventarli quando tentennano.
- Io non tentenno.
- Non tentenni, dici, però vai e vieni, tanto che non riusciamo a starti dietro. E guarda che stiamo dietro a tante cose.
- Io non tentenno: sto bene qui, ma sto bene anche lì. Non ho voglia di rinunciare a niente.
- Finché farai avanti e indietro, ti sembrerà sempre di rinunciare a qualcosa. Se ti fermi con noi, dopo ti sentirai diverso.
- Vai lì, se vuoi andare: noi ti aspettiamo qui.
- Fate presto, voi, a parlar di qui, di “dopo”: ma io non so niente di dopo e qui: io sono lì e ci sono adesso.
- Un qui e un dopo siamo noi. Così come siamo stati un lì ed un adesso.
- Non è una consolazione.
- Non siamo qui da - com’era?- un anno, undici mesi, dodici giorni, per consolarti.
- Già, bravi: e allora perché siete qui? Sempre con la faccenda che vi ho chiamati? Io non vi ho chiamati, non mi passava proprio per la testa, non lo volevo. Non che non mi faccia piacere, non ho detto questo. Anzi. Lo sapete quanto ci tenessi, l’ho sempre detto, no, che vi avrei voluti con me? Sempre. Quando me lo immaginavo, era così che me lo immaginavo: con voi.
Ma non…non credo che adesso dipenda da me.
Voi credete dipenda da me?
- Nonna, vieni! Devi svegliare il nonno: mi ha detto che aveva deciso di andare via con la sua mamma e un suo amico della Guerra, ma si è addormentato.
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