Quando ho aperto gli occhi questa mattina non ricordavo dove fossi.
Un attimo, una frazione di secondo, il tempo che mi ci è voluto perché i ricordi affiorassero alla coscienza, coperti com’erano dall’abitudine delle ere, dalla rassegnazione degli anni e –certamente- anche dalle ore di assenza del sé nella notte.
La luce particolare e l’odore di nuovo mi hanno aiutata a ritrovare più in fretta il presente. Quel taglio di aurora tra il respiro degli scuri -un tepore rosa e arancione- e l’essenza di ambra e sandalo dal legno del parquet: ero a casa.
Il piccolo sicuramente non aveva sentito la sveglia, dalla sua camera. Chissà che anche lui, nel momento in cui ha aperto gli occhi, non abbia dovuto attendere qualche attimo, prima di riconoscere il rovere moro, l’azzurro pastello ed il giallo limone che lo introducevano al nuovo giorno ed alla nuova vita. Una stanza tutta per lui: niente più goccia insistente che dal lavandino si fa largo tra i sogni, nessun odore infestante di pranzi e di cene, che s’insinua nella fase rem e basta anche col brusio impertinente del frigorifero, che confonde sonno e risveglio.
Dio, la casa nuova! L’interno è perfetto, l’arredamento è perfetto, l’isolamento è perfetto, gli impianti sono perfetti; l’esterno è perfetto, la strada è perfetta, la zona è perfetta, i vicini sono perfetti.
Quando ho preso le chiavi dell’auto un brivido mi ha scossa tutta. Il portachiavi lo tocco così spesso, che l’ho già quasi consumato: a volte lo stringo, altre lo tengo semplicemente tra le mani, è una sensazione di pienezza che non credevo che un oggetto così piccolo potesse dare. Che un oggetto, genericamente, potesse dare. Ma lui è la prova che è tutto vero: è vero che mi alzo al mattino, mi preparo con cura e con cura aiuto il mio cucciolo a prepararsi a sua volta; ripassiamo velocemente la filastrocca di turno, mentre facciamo colazione, qualche minuto prima di lavarci i denti ed uscire insieme: lui mi lancia un bacio dal pulmino ed io rispondo con un soffio di labbra sul palmo della mano, mentre giocando con le piume soffici e confortanti del portachiavi, apro lo sportello e salgo.
Salgo in macchina. La MIA macchina.
Sì, perché adesso anch’io ho una macchina, che mi attende sotto casa, mentre riposa nel suo parcheggio perfetto: niente più lunghe, estenuanti salite con la spesa di piombo che mi segna la spalla, nessuna corsa disperata col cuore ed il fiato che sussultano per la paura di non fare in tempo e basta con l’elemosina di un passaggio, che non arriva perché per strada non c’è nessuno, tutti chiusi nell’utero delle loro lamiere climatizzate.
E adesso la mia auto nuova mi porta in un nuovo posto, che mi fa paura e mi eccita al tempo stesso, come quando da bambini si giocava alla caccia al tesoro e quando sapevi che era fatta, che l’avevi trovato e disseppellivi il forziere, mi assaliva la paura che all’atto di aprirlo il bagliore fragoroso delle gemme e dell’oro mi avrebbe accecata, o che tutto si sarebbe fatto polvere e sabbia, al solo sfiorarlo. Ma questa caccia è durata nove anni e mezzo. Sono passati nove anni e mezzo da quella me più giovane degli altri che stringe la mano ai professori, mentre scrosciano gli applausi per quella lode, che era stata l’unica della giornata. Nove anni e mezzo senza riuscire a scorgere le palme, la X e il punto in cui scavare: solo qualche duna di spiaggia smossa dall’istinto di una cane dopo i bisogni. E i bisogni del cane sotto i piedi nudi.
Ma adesso ho trovato lo scrigno e lo apro ogni giorno e i doni che contiene sono veri e li posso scambiare con una casa nuova, una macchina nuova, una pizza fuori, due sere in palestra, una festa di compleanno, gli allenamenti di calcio, il corso di chitarra, le scarpe dei pokémon.
Li posso scambiare con una vita perfetta. Dio, la vita nuova!
Sì, perché adesso anch’io ho un lavoro.
Tutti i miei problemi svaniti, tutti i miei sogni realizzati, tutte le mie potenzialità attuate.
Era prima, una nube nera e densa, un peso insostenibile, una coltre di pece, sporca, appiccicosa, puzzolente e nauseabonda, che copriva questa gioia fresca e leggera, questa spensieratezza; poi un genio della lampada: una strofinata, un desiderio; adesso, la perfezione.
***
Oh, a questo punto il pezzo sarebbe finito, ma mi trovo ahimé nella sgradevole posizione di non riuscire a trovare un titolo che sia davvero soddisfacente, quindi ho deciso di ricorrere a voi e chiedervi una preferenza. Ho ristretto la rosa a delle possibilità a due alternative, alquanto differenti tra loro, ma ugualmente evocative:
1. “La mia vita perfetta”
2. “La mia vita perfetta dopo che Berlusconi si è dimesso e nei dieci giorni successivi all’avvenimento è passata la crisi negli Usa, in due settimane in Germania e Francia, in diciotto giorni in Grecia, in ventuno nel Burundi; Hamas e l’Iran si sono alleati e fanno le vacanze in multiproprietà, è sparito l’Aids, non c’è più la fame nel mondo, c’è acqua potabile su Marte ma a noi che ci frega, visto che le energie alternative hanno salvato il pianeta e un gruppo si scianziati-sarti ha ricucito il buco nell’ozono. Ah, e appena in Italia è arrivato Monti, con un poco di zucchero lo spread è andato giù e il mio telefono ha iniziato a squillare: erano tutti gli Egregio Signore e le Gentilissima Signora cui in questo decennio si erano accatastati le migliaia di curricula che avevo mandato, nell’attesa di un riscontro positivo da parte Vostra, quando l’occasione era gradita per porgere i miei migliori saluti, e puttana la Vostra vacca Eva, stronzi di merda, coglioni della crisi dei mercati del debito dello spread del bund del cazzo di antani!
Votate, votate, votate.
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