mercoledì 31 ottobre 2012

Hollow in.

Halloween può non essere la festa consumistica, che tanti per comodità hanno deciso debba essere. Il fatto che molti adorino usarla come scusa per annichilire i chiassosi pargoli, inebetendoli con fiumi di zuccheri, o per fare scherzi telefonici ai vecchi bulli delle medie – e non solo -, camuffando la voce in un moto egocentrico, convinti di essere assolutamente riconoscibili nonostante siano trascorsi diciotto anni e una tempesta ormonale , o ancora per violentare prostitute celati dietro la maschera di Topolino – o di Berlusconi -, o solo per scagliarsi contro l’importazione di usi e costumi d’oltre oceano, ecco dicevo nonostante questa festa si presti - esattamente come tutti gli altri momenti della vita umana – ad essere frainteso e piegato ad un significato innaturale e improprio, la notte di Halloween ha un suo motivo d’essere ben più profondo e radicato nella consapevolezza umana. Perché la notte di Halloween è il momento dell’anno in cui le palpebre pesanti che separano il mondo dei vivi da quello dei morti si fanno più sottili e si schiudono appena, consentendo a chi vuole – a chi cerca, a chi rischia, a chi non ha paura – di intravedere chi sta di là.
E vice versa, eh. Non è che i defunti stiano tutto il tempo a farsi gli affari nostri, ben inteso, ché hanno il loro bel daffare, robe che quando erano di qua nemmeno si immaginavano: decisioni da prendere, strade da imboccare, situazioni da affrontare. Ma la notte di Halloween anche loro – quelli di loro che vogliono, che cercano, che rischiano, che non hanno paura -, possono tornare a vederci, da sotto a quelle palpebre appena socchiuse.
Così questa sera sarò fuori casa: andrò ad una celebrazione per Halloween, cenerò con chi in questo momento mi è più caro (tranne uno, in realtà), assieme ad un gruppo di amici, ognuno dei quali porterà la memoria di una persona cara che non c’è più; e ognuno ascolterà la memoria dell’altro e questa memoria verrà condivisa e troverà eco e si farà la sua strada per perdurare e chissà, magari da questa eco nascerà un riverbero, che la porterà al di là della grande palpebra, nel cuore da cui è nata.
Sì, questa sera sarò fuori casa: spero un passo oltre la palpebra un po’ sollevata. Questa sera sarò fuori casa e racconterò di te, nonna: del grande amore di una bambina, della sensazione dei tuoi abbracci, che cambiava col tempo a mano a mano che io crescevo e tu rimpicciolivi; della consapevolezza forte di essere il proseguimento della tua storia, di quelle cose che ci hanno sempre accomunato – il doppio mento, le spalle ampie, le gambe bellissime e una golosità irrefrenabile – e di quella lezione di vita che mi hai saputo dare inconsapevolmente, senza purtroppo essere mai riuscita a farla tua.
Ecco, questa sera sarò fuori casa: perciò non venite a scassare la minchia con le caramelle.

Ciao, nonna.

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