Halloween può non essere la festa consumistica, che tanti per comodità hanno deciso debba essere.
Il fatto che molti adorino usarla come scusa per annichilire i chiassosi pargoli, inebetendoli con fiumi di zuccheri, o per fare scherzi telefonici ai vecchi bulli delle medie – e non solo -, camuffando la voce in un moto egocentrico, convinti di essere assolutamente riconoscibili nonostante siano trascorsi diciotto anni e una tempesta ormonale , o ancora per violentare prostitute celati dietro la maschera di Topolino – o di Berlusconi -, o solo per scagliarsi contro l’importazione di usi e costumi d’oltre oceano, ecco dicevo nonostante questa festa si presti - esattamente come tutti gli altri momenti della vita umana – ad essere frainteso e piegato ad un significato innaturale e improprio, la notte di Halloween ha un suo motivo d’essere ben più profondo e radicato nella consapevolezza umana. Perché la notte di Halloween è il momento dell’anno in cui le palpebre pesanti che separano il mondo dei vivi da quello dei morti si fanno più sottili e si schiudono appena, consentendo a chi vuole – a chi cerca, a chi rischia, a chi non ha paura – di intravedere chi sta di là.
E vice versa, eh. Non è che i defunti stiano tutto il tempo a farsi gli affari nostri, ben inteso, ché hanno il loro bel daffare, robe che quando erano di qua nemmeno si immaginavano: decisioni da prendere, strade da imboccare, situazioni da affrontare. Ma la notte di Halloween anche loro – quelli di loro che vogliono, che cercano, che rischiano, che non hanno paura -, possono tornare a vederci, da sotto a quelle palpebre appena socchiuse.
Così questa sera sarò fuori casa: andrò ad una celebrazione per Halloween, cenerò con chi in questo momento mi è più caro (tranne uno, in realtà), assieme ad un gruppo di amici, ognuno dei quali porterà la memoria di una persona cara che non c’è più; e ognuno ascolterà la memoria dell’altro e questa memoria verrà condivisa e troverà eco e si farà la sua strada per perdurare e chissà, magari da questa eco nascerà un riverbero, che la porterà al di là della grande palpebra, nel cuore da cui è nata.
Sì, questa sera sarò fuori casa: spero un passo oltre la palpebra un po’ sollevata.
Questa sera sarò fuori casa e racconterò di te, nonna: del grande amore di una bambina, della sensazione dei tuoi abbracci, che cambiava col tempo a mano a mano che io crescevo e tu rimpicciolivi; della consapevolezza forte di essere il proseguimento della tua storia, di quelle cose che ci hanno sempre accomunato – il doppio mento, le spalle ampie, le gambe bellissime e una golosità irrefrenabile – e di quella lezione di vita che mi hai saputo dare inconsapevolmente, senza purtroppo essere mai riuscita a farla tua.
Ecco, questa sera sarò fuori casa: perciò non venite a scassare la minchia con le caramelle.
Ciao, nonna.
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