venerdì 8 marzo 2013
L'8 m'arzo
Ci sono stati tempi e luoghi in cui la donna ricopriva, all'interno della società, ruoli di responsabilità e guida spirituale, medica, educativa, ed era indiscussa e rispettata consigliera; tempi e luoghi in cui l'essere umano si riconosceva parte della natura e non padrone di essa, in cui il forte legame del femminile con la forza creatrice, con l'Amore, era chiaro ed evidente, accettato senza invidia o frustrazione dal maschile, che dal canto suo era ben consapevole del proprio ruolo: complementare e non superiore, in alcun modo in competizione. Società passate, che oggi si sono ridotte a comunità, a tribù, a clan, lasciando il posto a strutture globali sempre più distanti dalla vita: artificiali, totalmente inconsapevoli del fluire dell'essenza e del significato dell'esistenza, in cui ogni istante viene programmato e organizzato per fare, fare, fare sempre qualcosa, impedendoci così di vedere e sentire chi siamo davvero, cosa vogliamo, di cosa abbiamo veramente bisogno. Società che sono lavandini colmi, con un tappo sul fondo, in cui ciascuno si lascia obbligare a nuotare contro corrente nel gorgo, per paura di finire nello scarico buio. E in queste società totalmente innaturali, la saggezza intuitiva della donna costituisce un pericolo, perché essa è in grado di vedere e mostrare l'insensatezza dell'opporsi alla direzione dell'acqua, l'inutile annaspare in queste stagnanti.
Non è un caso che in altri tempi e luoghi, le divinità fossero la Natura - Madre e Padre - e tutte le sue manifestazioni, mentre i cambiamenti siano poi cominciati con la personificazione degli dèi - uomini e donne a capo degli elementi - e abbiano poi raggiunto l'apice (ossia toccato il fondo) con la semplificazione in un unico dio, maschio e per di più vecchio: l'anti-capacità creativa in assoluto.
La proprietà privata e la donna sfruttata per il suo dono di concepire nuova vita, obbligata ad appartenere ad un uomo, per garantirgli che, una volta morto, i suoi beni potessero passare ad una sua certa progenie: svilita a tal punto, da portarla a odiare quel dono e dimenticare, per sopravvivere, la sua saggezza antica.
Santa o puttana, rimodellata a suon di botte e privazioni sulle più disperate esigenze di un uomo rimasto senza consigli, allo sbando, senza quel tramite tra cielo e terra che ha deciso di recidere con la forza. Perché di forza l'uomo ne ha di più, indubbiamente: forza bruta, potenza, possanza, pugni, calci, voce grossa. Nuovi valori a fondamento di un nuovo mondo, che piano piano va sfaldandosi sempre più, verso un'inesorabile dissoluzione.
Millenni di donne cui è stata fatta dimenticare la propria identità e che adesso, nel tentativo di reinventarsi, guardano all'unico modello che è rimasto loro, in alternativa al binomio Vergine-Maddalena, vale a dire il modello maschile, che non fa che acuire l'artificiosità del nostro tempo, dove donne-maschio (e non faccio certo riferimento alla sessualità) si prestano a umiliare, ferire, svilire altre donne, per sopravvivere: mangiare o essere mangiate. Donne che vivono in funzione dei comandamenti del maschio e che (soprav)vivono le loro vite per adeguamento o per contrasto ad essi: la donna che sta a casa a badare al piccolo nucleo familiare (e lo tiene isolato dagli altri quanto basta perché non vi trovi aiuto, ma solo misura, giudizio e confronto) e la donna che è manager rampante e in casa non c'è proprio mai; l'eterna bambina bisognosa, che passa dal padre al marito, convinta di aver bisogno di protezione, o quella che scappa di casa e non chiede mai aiuto a nessuno; quella che cede le chiavi dell'auto al maschio, ché è stato deciso che non deve essere in grado di parcheggiare, e quella che pilota lo shuttle e lo fa combaciare al millimetro, per fare rifornimento nello spazio. Donna, che ha accettato l'abito che le è stato cucito addosso nei secoli e si divide solo tra chi se lo tiene - e ci si nasconde sotto -, e chi se lo strappa via, assieme a brandelli di sé.
Non esiste festa della donna, mie carissime madri, sorelle, figlie, amanti, finché noi tutte, insieme, non facciamo che l'essere donna di per sé sia - nuovamente - una festa.
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