giovedì 22 novembre 2012
Hic @ nunc
Oggi inizio la mia attività di volontariato per sostenere alcune famiglie che mi erano state presentate - da chi ha domandato il mio aiuto in un settore molto specifico - come economicamente "disastrate".
Poi qualche settimana fa, nel corso della riunione dell'organizzazione che illustrava le necessità particolari famiglia per famiglia, mi sono resa conto che quelle persone definite disastrate si trovano in una situazione economica - almeno per quanto riguarda le entrate - di gran, gran, gran lunga superiore alla mia. Che non è che ci voglia poi tanto. E anche per quanto riguarda le uscite, tenuto conto che godono non solo di agevolazioni comunali (che alla fine spetterebbero anche a me, se solo le richiedessi), ma anche della pietà benpensante del paese, che per sentirsi tutti un po' meno in colpa per le enne proprietà che possiedono - ma lasciano sfitte e fredde fino a portarsele nella tomba - regalano vestiti e scarpe mai indossati ("sai quando ti prende così la voglia di comprare qualcosa e non sai cosa e ti ritrovi con roba che non metteresti mai?", "Veramente no", "Ah, be', vabbè..."), donano cancelleria e giocattoli e raccolgono la colletta alimentare. Insomma, tutto il possibile per permettere loro di mettere qualcosa da parte per il futuro.
Ora, a parte l'invidia - di cui mi vergogno, ma che onestamente provo - nei confronti di questi disastrati "noti", che vengono sostenuti in tutto e per tutto, perché vanno sbandierando i loro problemi, mentre io per "dignità" e vergogna li tengo per me, un altro pensiero viene lentamente a galla e si fa sempre più nitido:
ma se l'essere o meno in una situazione economica disastrata non fosse un dato oggettivo, ma qualcosa di relativo, relativo a come ci si sente dentro?
Perché chiunque, chiunque anche tu che stai leggendo adesso, chiunque a domanda "Ma tu a soldi come stai messo?" risponderebbe "Uh, non me ne parlare. Come sto messo? Tiro a campare!".
Da un anno a questa parte, e cioè da quando tutti, ma veramente tutti, hanno iniziato a confessare apertamente di sentire "la crisi" e a far girare più alta la voce delle difficoltà, dei "sacrifici", dell'impossibilità generale di "arrivare a fine mese", io ho ascoltato - ascoltatrice occasionale di parole al bar, in fila alla coop tra le comari di un paesino, che "non brillano certo in iniziativa" -, e ho raccolto questi commenti; li ho raccolti nella testa e inconsapevolmente elaborati, per poi ritrovarmi a usarli come filtro nell'osservazione dei comportamenti effettivi e delle marchiane discrepanze tra quanto sostenuto a parole e quanto affermato coi fatti.
E la conclusione, gente - anzi, GGGENTE - è che vivete tutti al di sopra delle vostre possibilità. Tutti! Anch'io, che prendo due caffè al bar ogni giorno e non me lo posso permettere, ché in un mese fanno 60 euro e io non ho telefono, adsl, sky, perché non posso spendere quel fisso mensile; e non vado dall'estetista per la ceretta, non mi faccio le unghie, non compro creme, non faccio iniezioni anticellulite, non vado in palestra né dal parrucchiere né in vacanza; ho gli stessi vestiti da dieci anni - alcuni dal liceo: fanno quasi venti anni! -, non compro abiti o scarpe a mio figlio, che veste quelli smessi dal suo amico che, per fortuna, cresce con la velocità della pianta di fagioli, o quelli che gli confeziona mia madre a mano. Eppure spendo 60 euro al mese di caffè del bar.
Allora adesso vi chiedo:
siete davvero così sicuri di stare facendo sacrifici pesantissimi, di essere ridotti all'osso eccetera?
Qualcuno mi starà mandando a cagare, altri proveranno pena, altri ancora penseranno ch'io stia mentendo o, comunque, esagerando. I più coglioni diranno che se tutti facessero come me, l'economia sarebbe già morta, ma io scommetto che la maggior parte sta saltando sulla sedia, in preda a un malessere indefinito, con il pensiero fisso che "io sto facendo del mio meglio, è vero che potrei ancora tagliare, ma non ci si può privare di tutto, sennò che cazzo di vita è?".
E allora è esattamente a voi che mi rivolgo: se le cose che non avete tagliato sono davvero le cose a cui voi più tenete, e vi siete accorti che ancora avete - e fate - le cose a cui più tenete, ma si può sapere perché continuate a lamentarvi e non riuscite a essere felici? Essere felici per ciò che avete ADESSO, e non infelici per quello che temete che forse chissà se andiamo avanti così non avrete tra un mese? Tanto tra un mese finisce il mondo!
Comunque io adesso esco: vado a prendermi un caffè.
lunedì 12 novembre 2012
La Vita è un Viaggio
La vita è un viaggio: dimmi con che mezzo viaggi e ti dirò chi sei.
Tipo piedi: il tipo
leggenda. Sono due le correnti di pensiero sul tipo piedi: una sostiene che
si sia estinto, l’altra che non sia mai esistito. Chissà i futuri passi della
scienza non permetteranno un giorno di far luce su questo mistero.
Tipo auto: il tipo
assertivo. Il tipo auto vive nell’illusione del controllo (“Il passato è
storia, il futuro è mistero ma oggi è un dono e per questo si chiama presente”,
gli ricorderebbe amorevolmente il Maestro Oogway). Crede di avere il potere di
decidere della sua vita, del suo tempo e del suo spazio: pensa di potersi
fermare quando vuole e poi non si ferma finché non è arrivato, vuole godere
della solitudine dell’abitacolo e poi parla – e urla – tra sé e sé, rivolgendo
parole inascoltate allo speaker radiofonico e agli altri automobilisti; dice
“scelgo di spendere un po’ di più, ma ne vale la pena” e poi maledice l’aumento
del pedaggio, le accise, le pompe. Si consola “se devo andarmi a schiantare,
almeno sarà stato solo per colpa mia”, e si ritrova attaccato al guard-rail in
seguito ad un attacco di dissenteria improvvisa dei corvi delle risaie, che
hanno fatto andare uscire di strada un tir, che ha perso il rimorchio carico di
olio extravergine di oliva, che si è rovesciato sulla carreggiata esattamente
davanti alle sue gomme.
Tipo
pullman: è il tipo Gruppo-Vacanze-Piemonte, alias Fantocci, vadi. Non vuole prendersi la responsabilità di condursi
attivamente alla meta e non sopporta la solitudine. Decide dunque di partire
con un gruppo di conoscenti superficiali - e conoscenti superficiali dei
conoscenti superficiali – affrontando coraggiosamente il rischio di tornare a
casa con un set di pentole in terracotta del Mar Morto, pensate appositamente
per la fonduta di ibis azzurro del Titicaca, cacciato con la frombola da un ex
assicuratore inglese, che ha scelto di girare il mondo a piedi scalzi, vivendo
solo del ricavato della vendita delle sue ceramiche tecniche. La frombola
ovviamente è in omaggio. Ritrovo alle 4:00 di un piovoso mattino di novembre,
ritorno a mezzanotte, pranzo a sacco, cena a base di fonduta di ibis azzurro
del lago Titicaca, cucinata a fuoco lento dal rappresentante di pentole/
cacciatore di ibis nelle pentole di terracotta del Mar Morto. E posate di
plastica, quelle nel sacchettino trasparente, col tovagliolo che si straccia
solo con lo sguardo (lo sguardo dell’ibis morente) . Tempo medio per visitare
ciascuno dei quattrocentosettantadue luoghi d’interesse previsti dal volantino:
settantatré secondi ad attrazione.
Tipo
autostop: tipo non pervenuto. Pare
non arrivino mai alla meta, pare non ritornino mai a casa. E comunque sarebbe
il tipo nostalgico.
Tipo
motocicletta A: il sognatore part-time, finto alternativo, sempre alla moda. Vede
la motocicletta come una fuga,
prova un profondo desiderio di libertà, la voglia di uscire dagli schemi, il
contatto con la strada, ma solo se il cima è secco-ma-non-troppo, se il sole è
caldo-ma-non-di-taglio, se l'aria è fresca-ma-non-tesa, se è un mese-senza-la-erre
e possibilmente pari, se si può mettere tutta la tuta di pelle completa con gli
stivali rigorosamente abbinati, se ha pianificato il passo da svalicare da
almeno tre settimane e quattro giorni, verificando che il maggior numero di
altri tipi moto A abbia preso la sua medesima decisione, per organizzare una
sosta finto casuale tutti insieme nei pressi del medesimo punto (possibilmente
l’unico per nulla panoramico, ma da dove chiunque passi possa ammirare la
motocicletta pulitissima, lucida e luccicante, dello stesso colore dalla tuta,
del casco e dello zainetto).
Tipo moto B: l’alternativo
finto-vero, l’orso delle caverne, l’asociale per antonomasia. Odia tutti
gli altri tipi, in particolar modo i tipi moto A. Si sposta sulle due ruote anche per andare dalla mamma
a farsi fare il bucato, ma sempre con l’espressione truce, ché nessuno deve
sapere che va a trovare la mamma. Nessuno deve sapere che ha una mamma. Nessuno
deve sapere che si lava. La moto è sempre visibilmente zozza – passa i pomeriggi
in box a spalmarla di grasso, affinché le polveri sottili vi si appiccichino
meglio – e indossa capi tecnici anche quando va dormire, ma solo spaiati e
dagli abbinamenti di colore assolutamente inguardabili. Grugnisce da sotto il
casco il suo astio per l’umanità, ostenta come una bandiera la sua misantropia
e si accerta costantemente che tutti – ma proprio tutti – si accorgano che lui
si isola, si allontana, sta in disparte, li schifa: “Io sono diverso da te:
guardami!” dice la sua arcata sopraccigliare, mentre con un cenno del capo fa
“Cazzo hai da guardare?”.
Tipo Treno: il tipo treno è
lo sfigato per eccellenza. Soggetto ai tagli dell’economia (in inverno il
riscaldamento non funziona e i finestrini non si chiudono, in estate l’aria
condizionata non va e i finestrini non si aprono); alla repulsione - che coinvolge financo i
corpi sottili - nei confronti del tessuto di rivestimento dei sedili, che è
“antibatterico” solo perché quelle non bene identificate macchie della
copertura “antimacchia” - che per
comodità esce già macchiata da impostazioni di fabbrica -, fa schifo a
qualunque forma di vita, anche le più semplici: monocellulari, parassite e
distruttive); ai malumori degli impiegati dell’intera rete ferroviaria (che
scioperano di regione in regione ogni fine settimana perché gli gira
dannatamente per essere stati messi di turno venerdì sera, sabato e domenica, e
poi scioperano quelli del lunedì, perché “quegli stronzi di ieri non hanno
fatto un cazzo, perché oggi io dovrei lavorare?”); al divieto di fare pipì
durante la sosta in stazione nonostante lo sappiano tutti, che la pipì scappa proprio durante la sosta
in stazione; all’alitosi del tizio strambo che gli si mette accanto,
all’abitudine di certi stranieri di levarsi le scarpe, a quelli che si portano
il chihuahua nella tasca dell’impermeabile (o sono solo felici di vederti).
- Va bene, ma il valium per il decollo lo voglio lo
stesso.
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