- E questa per Lei è una buona ragione per abortire?
- Sì.
- Ma questa è solo la Sua visione delle cose, non è un dato oggettivo e, quindi, non può essere una sentenza. Io, per esempio, vedo la cosa in un modo diametralmente opposto da Lei.
- E chi se ne frega? Scusi, Dottore, ma che Lei abbia studiato uteri per dieci anni, non cambia il fatto che quella cosa che ha tra le gambe sia un pene e che tra i due, qui, quella incinta sia io. Ma poi quale “dato oggettivo”, quale “sentenza”? Il mio dato oggettivo è il mio dato soggettivo: l’unica oggettività valida per me è la mia soggettività, così come il Suo “diametralmente opposto” punto di vista, è per l’appunto solo il Suo soggettivo punto di vista.
Quel poster che lei ha appeso lì, magari con noncuranza, magari solo per rendere più colorate queste deprimenti e squallide pareti bianche (ma mi tolga una curiosità: perché gli ambulatori sono tutti uguali? Pareti di cartongesso bianche, controsoffitto in polistirolo bianco, infissi di alluminio, ma con il muro attorno tutto scrostato, macchie di umido o di perdite anche quando una struttura è nuova, luci al neon; il cardiologo affigge cuori infartuati e coronarie che non ne possono più, l’oculista bulbi con la cataratta – come se i bulbi oculari non fossero già schifosi quando sono sani -, la pediatra mette bambini grassi contro bambini magri e i ginecologi ci innaffiano di spermatozoi. In senso figurato)…
Quel poster, dicevo, ogni volta che lo guardo mi irrita sempre di più: una sezione del profilo del tronco di una donna, con l’interno a vista e tutte le varie fasi di questo corpo estraneo che s’impianta e cresce, cresce, cresce. I miei organi si spostano: la colonna vertebrale si inarca così tanto, che sembra prendere la forma di un punto interrogativo per chiederti “ma perché lasci che mi accada questo?”; gli organi interni si spostano, perché non c’è abbastanza spazio per tutti (i miei organi interni si devono spostare perché nel mio corpo non c’è più spazio per loro!); il cuore si affatica, i reni si affaticano, la pelle non basta più e si strappa, i seni fanno male, le caviglie si gonfiano, il culo ingigantisce e cade, le cosce sembrano impasto crudo per la pizza; non posso più dormire nella posizione che voglio, mi vengono le emorroidi, mi viene la sciatica, percepisco decuplicati i peggio odori che il mondo produce.
E intanto dentro ho quella cosa. Quella cosa che mi divora, che mi sposta la colonna vertebrale, che gioca alle tre carte coi miei organi, che mi dà da smaltire i suoi scarti e che si prende il mio cibo, il mio sonno, la mia energia e cresce e più cresce, più sposta, più scarta, più prende. Un parassita. È un parassita e mi viene voglia di scalzarlo via, prima che si prenda tutta la mia vita.
- Ma su, adesso, non esageriamo: un parassita! La tenia è un parassita! Io l’ho avuta la tenia.
- L’ha avuta, bene. E l’ha tolta o ha lasciato che Le s’impiantasse nella pancia, Le rilasciasse dentro i suoi scarti, si nutrisse del Suo cibo, delle Sue energie? Perché la tenia quando entra è un cosino piccolo piccolo, un ovetto tenero, che deve ancora diventare grande e, ha bisogno di usarLa come incubatrice, per crescere fino a che dentro non ci sta più. Un grosso pitone di otto metri. Le ha permesso di diventare quel grande e forte grosso pitone di otto metri o ha fatto di tutto per liberare il Suo corpo da quell’intrusione prima che accadesse?
- Io non capisco più di cosa stia parlano. Lei sta mettendo sullo stesso piano un bambino e un essere la cui presenza può causare complicanze così gravi, in un organismo umano, che lo può uccidere.
- Definizione migliore della Sua, non avrei saputo darla.
Diabete, gestosi e sa dio quante e quali altre complicanze, si porta dietro una gravidanza. Anzi senza scomodare dio, c’è già Lei che lo sa.
Per non parlare del parto: atto finale di un corpo che non ne può più e finalmente si ribella all’invasore, con uno sforzo sovrumano per espellerlo e liberarsi di quella cosa, diventata ormai ingestibile. La fatica, le cose impensabili che riesce a fare per spremerlo fuori dalla stessa porta da cui era entrato, ma tre chili e cinquanta centimetri prima. E poi scrivete trattati, studi, scenette comiche su come le donne diventino intrattabili, durante il travaglio: ma quanto devono essere incazzate, quelle donne? Io sono furente già adesso, non voglio neanche pensare alla rabbia che potrei accumulare in nove mesi.
Se sopravvivessi a tutto, ovviamente: flebo perché le spinte non sono sufficienti, lacerazioni, anestesia, tagli, emorragie, infezioni.
E poi non è mica finita qui. Perché quel piccolo parassita continua a divorarti anche quando è fuori: succhia il mio cibo, si nutre della mia energia, si prende il mio sonno, mi dà i suoi scarti da smaltire; si prende il mio tempo libero, il mio lavoro, i miei pensieri, i miei sogni, i miei genitori, il mio uomo: si prende la mia vita.
- Io sono certo che Lei sarà un’ottima madre.
- io sono certa che Lei è un coglione.
Nessun commento:
Posta un commento