mercoledì 7 dicembre 2011

Non passa lo straniero


La folla si era radunata nel giro di una manciata di minuti ed era una moltitudine eterogenea: c’erano il nonno col nipotino –non era andato a scuola perché aveva mal di pancia-, la signora che passeggiava il cane –troppo di corsa, per fermarsi a raccogliere tutto ciò che l’amico peloso aveva amorevolmente disseminato tra i vicoli e la spiaggia-; c’erano gruppetti di pensionati sull’attenti –acuti osservatori, colti a metà strada tra il cantiere dei lavori in corso ed il primo bicchiere di bianco-, diverse mamme sudate in tuta e scarpe da ginnastica –arrivavano a scaglioni, ma in una sequenza cadenzata, che sembravano la tabellina del tre- e c’erano, infine, i carabinieri e la croce rossa.

Carabinieri e croce rossa, a ben guardare, c’erano già da prima. Anzi, era stata proprio la loro presenza ad attirare i cittadini, preoccupati ed incuriositi da cotanto spiegamento di divise nere-rosse e blu-bianco-rosso (più incuriositi, che preoccupati, in verità, almeno in principio).

- Avranno investito qualcuno. Magari uno di quei ragazzini di oggi, che sfrecciano sulle strisce con le loro motorette.
- Ma è la casa di Bacci, quella! Lo dicevo che era strano, che oggi non s’era ancora visto per offrirmi il caffè.
- Oh, lì ci abita la Rosi: il marito l’avrà trovata con uno dei tanti amanti…
- È sicuro colpa del cantiere: ma non avete visto come lavorano? Avranno tranciato qualche cavo o sfondato qualche tubo: qui sotto c’è tutto un punto nevralgico di gas ed elettricità.
Un vociare confuso, sovrastato da una litania monotona e logorante:
- Andiamo? Andiamo ai giardini, nonno? Andiamo!

Ma l’arrivo di quel pullman scortato e con i vetri oscurati, non se l’era proprio immaginato nessuno.

Non se l’era immaginato nessuno neppure quando, tra le facce degli astanti in attesa di riportare a casa la notizia del giorno, aveva fatto capolino il solito sorriso del Sindaco: quello che sembra che gli angoli della bocca gli siano stati sapientemente graffati ai lobi, per alleggerire l’ingrato compito dei muscoli, costantemente sotto sforzo.
Sindaco, vice-sindaco, un paio di assessori e qualcuno dell’opposizione a caso, a formare un comitato d’accoglienza per chissà chi c’è su quel bus, ma di certo qualcuno d’importante.

E ancora no, nessuno aveva indovinato e vi assicuro che esserci e osservare il rincorrersi delle molteplici espressioni di sorpresa, curiosità e dubbio sui volti dei miei concittadini –ignari, ma elettrici di aspettativa-, mi ripagava egregiamente di tutte e tre le serie di quel telefilm sul linguaggio del corpo e la comunicazione non verbale.
Ma più interessanti dell’analisi prossemica delle microespressioni nell’attesa, sarebbe stato assistere al graduale uniformarsi dei visi, al momento dell’apertura delle porte del veicolo: credo si potesse definire “totale e subitanea perdita di ogni punto di riferimento, con lento, ma inesorabile, senso di occlusione e claustrofobia”. Non so se sia una definizione tecnica, ma per dare un’idea più chiara e riassumere in una parola: “AIUTO!”
Stavano arrivando i profughi di Lampedusa.

Mi chiedo se anche gli altri siano stato colpiti subito, come me, dall’assenza di donne nel gruppetto dei dieci, che scendevano i gradini lentamente, in fila composta, uno dietro l’atro; né so se sia plausibile ipotizzare che altri abbiano scorto nei loro occhi quel vuoto profondo e disarmante –ché forse era una mia proiezione, dovuta a ciò che si leggeva e sentiva, sulle innumerevoli traversie della loro fuga e della loro vita in generale. Quello di cui sono abbastanza sicura, invece, è che tutti i presenti l’abbiano visto immediatamente, quel piccolino, in braccio all’uomo che mi auguravo essere il suo papà, visto che di figure materne, come ho già detto, non ve n’era traccia alcuna.
Quel piccolino con gli occhi più profondi e più vuoti di tutti.

Troppo confusa e scossa per commentare a caldo, la folla si era dispersa con la stessa velocità con cui s’era raccolta. Immagino che anche quelli arrivati insieme, fossero poi tornati ognuno alla propria attività di routine, senza far parola dell’accaduto: troppo attoniti per formulare e comunicarsi pensieri di senso compiuto. Il resto della giornata era trascorso senza cenni di sorta, tranne qualche sguardo complice tra gli adulti all’uscita delle scuole, alcuni ponderati scuotimenti di capo davanti alla tazzina dell’espresso, colpi di tosse e alzate di spalle, di nuovo all’insegna della comunicazione non verbale: la quiete prima della tempesta.

Il tam-tam era infatti partito solo la sera, su Facebook: Tizio scrive sulla bacheca di Caio, Caio risponde, arriva Sempronio che condivide e via, in un battito d’ali in tutto il villaggio telematico si scriveva della stessa cosa.
Ai miei occhi era fin troppo evidente che il silenzio delle ore diurne sarebbe servito a ciascuno perché prendesse forma una coscienza collettiva bipartita: quella di chi si sarebbe messo in moto per offrire aiuto e sostegno ai nuovi arrivati e quella avrebbe covato indignazione e disappunto per l’arrivo dell’invasore.
In principio la fazione dei solidal –diciamo così- pareva non mostrare attenzione alcuna per lo schieramento dei conquistados –permettetemi anche questa licenza-: tutti presi dalla propria rete di entusiasmi, ognuno troppo coinvolto dal sacro fuoco che gli ardeva dentro, per accorgersi di quello avverso che bruciacchiava l’altra metà della popolazione locale. Sia stato un solidal o un conquistado, il primo a rendersi conto dell’esistenza delle due fazioni antitetiche, lo ignoro. Certo è che, appena ripresi dall’incredulità del primo incontro, è stata subito guerra aperta. Virtualmente parlando, s’intende.

[principessa74]: Dobbiamo fare qualcosa per aiutarli, chiedere in giro se serve, se hanno bisogno.
[aquiladelnord]: E a noi, che anche noi abbiamo dei bisogni, chi ci pensa ai nostri bisogni?
[paolapaoletta]: Ma questa è povera gente, gente che ha vissuto degli orrori che nemmeno ci immaginiamo!
[ludo79]: Mio nonno ha fatto la Guerra, anche lui ha vissuto degli orrori, ma nessuno l’ha aiutato, quando è tornato: si è dato da fare da solo!
[mariafiore60]: Ma che c’entra, questi sono stati sfruttati, picchiati e chissà che altro: sono scappati fin qui, ne hanno passate di tutti i colori, perché noi comunque ai loro occhi stiamo meglio di loro. Pensa un po’ come devono stare.
[pucciorossi]: Ma appunto, si aspettano che gli regaliamo le nostre cose e voi furbi che gliele date, così ne arrivano altri, che pensano “questi son scemi, ci danno tutto, andiamo anche noi”. Diamogli anche le donne, visto che non ne hanno.
[elena@pmail.com]: Ma che discorsi. E poi anche fosse che una donna vuole stare con uno di loro? Ma noi non ci ricordiamo che siamo sparsi per il mondo, perché siamo stati noi, i profughi, per un’intera generazione a cercar fortuna in America, in Germania, in Australia. Ma se ci avessero accolto come noi accogliamo questi, ma ci pensate?
[ludo79]: Guarda che ci hanno accolto esattamente così. E comunque noi siamo di un’altra pasta: ci rimbocchiamo le maniche e via, come i muli. Tutto quello che abbiamo ce lo meritiamo. Mica come questi: questi sono arrivati e gli abbiamo dato una casa. Una casa, ma capiamo? E questi mangiano e chi gliene dà? Noi, gliene diamo, con le nostre tasse: perché noi le paghiamo, le tasse! A questi gli danno una casa, che    paghiamo noi; gli danno tre pasti al giorno, che paghiamo noi; e gli danno trecento, quattrocento euro netti al mese, che paghiamo noi e quelli se li vanno a bere e a drogarsi! Io lavoro dieci ore per milleduecento euro; mia nonna ha cresciuto sette figli, ha lavorato per avere una pensione di settecento euro e le case che ha se l’è         sudate, mio nonno!
-[mariafiore60]: Va be’, allora fai cambio: vai a vivere un po’ dove stavano loro, poi vieni qui in gommone –e magari fatti l’ultimo pezzo a nuoto-, a non fare nulla tutto il giorno. Però devi vivere dove stanno loro, sconosciuti tutti assieme, e mangiare quello che danno a loro e fartela tutta, la loro vita. Non che invidi solo un pezzo, dal comodo del tuo divano.
E il bambino? L’hai visto il bambino?

Ecco, di fronte all’argomento bambino gli animi si raffreddavano un poco: per i solidal era il simbolo sulla loro bandiera e per i conquistados rappresentava un notevole ostacolo sulla via della ribellione, perché di fronte all’orfano di pochi mesi, non se la sentivano di controbattere alcunché.

Una nottataccia, comunque. Che poi erano diventati due giorni, che erano diventati cinque e una settimana e così via, ad arrivare ad un mese di scontri sulla questione “indovina chi viene a cena - e fa il portoghese”.

La cosa antropologicamente curiosa, tuttavia, erano le modalità di discussione: i membri delle due squadre avversarie, pur conoscendosi personalmente (il paese è piccolo e la gente –piccola- mormora), non toccavano l’argomento quando s’incontravano per la strada, anzi, parlavano sorridendo del più e del meno, per poi accendere il computer e scannarsi per ore; Tipo sapeva perfettamente di avere insultato Coso la sera prima, ma i due si salutavano come niente fosse, mettendosi d’accordo per portare insieme i figli alla partita; Roba aveva offeso la madre e la sorella di Bionda, ma si vedevano al bar per decidere quale regalo portare alla festa del figlio di Chissoìo.
Trenta giorni di studio e qualunque aspirante di sociologia, psicologia o umanologia generale si sarebbe guadagnato un meritato centodieci/centodieci e Lode con diritto di pubblicazione. Trenta, non uno di più.

***

La folla si era radunata nel giro di una manciata di minuti ed era una moltitudine eterogenea: c’erano la nonna col nipotino –non era andato all’asilo perché aveva mal di gola-, il ragazzo che passeggiava il cane –troppo di corsa, per fermarsi a raccogliere tutto ciò che l’amico peloso aveva amorevolmente disseminato tra i vicoli e la spiaggia-; c’erano gruppetti di pensionati sull’attenti –a metà strada tra il cantiere dei lavori in corso ed il secondo bicchiere di bianco-, diverse mamme con le borse della spesa – che arrivavano in sequenza- e c’erano, infine, i vigili del fuoco e la croce rossa.

Vigili del fuoco e croce rossa, a ben guardare, c’erano gi da prima.

- Forse qualcuno si è addormentato con la sigaretta accesa.
- Forse qualcuno che voleva leggere, ha coperto una lampada per consentire a chi era stanco di riposare.
- Forse non avevano controllato la calderina.
Un vociare sommesso, sovrastato dalle note di una litania monotona e sfibrante:
- Nonna? Giardini, nonna! Giardini!

Non so cosa pensassero, non c’erano microespressioni da leggere in quell’ unico sguardo, imbarazzato, seminascosto sotto le ciglia ed i cappellini. E forse non pensavano a nulla, non volevano pensare, con quello sguardo unanime di disagio collettivo e vi assicuro che era impagabile esserci, ad osservare gli occhi lucidi di lacrime malcelate, di colpa e compassione, dei miei concittadini consapevoli, loro malgrado, che il prezzo per mettere fine a quella strana scissione di paese era stato davvero alto.

[principessa74]: Povero piccino.
[ludo79]: È diventato un angelo del paradiso.
[mariafiore60]: Hanno perso di nuovo tutto.
[pucciorossi]: E adesso che succede?
[elena@pmail.com]: Li trasferiscono altrove. Più a est, ho sentito. In città.
[aquiladelnord]: Poverini, spostarsi di nuovo, magari erano contenti di stare qui, e invece.
[ludo79]: Eh, sì, poverini. Ho sentito dire che qualcuno non li voleva qui, magari è meglio che se ne vadano. Lo dico per loro.
[principessa74]: Sì, sì. Infatti. Staranno meglio.
[paolapaoletta]: Per loro.





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