Suo padre non voleva proprio capire.
Non che fosse una novità, l’incomunicabilità tra padri e figli o madri e figlie, ma è sempre così che i figli si ritrovano in situazioni come quella in cui era Alessio in quel momento: il completo del matrimonio di zia Priscilla, la camicia dell’esame, una cravatta di seta dal disegno senza tempo, mocassini in tinta con la cintura ed i calzini di Bart Simpson come unico tocco personale, l’unica libertà che gli era stata concessa. Tirato a lucido come una zucca ad Halloween, per un colloquio non richiesto con il nonno del cugino della zia acquisita di un “amico di famiglia”, per un lavoro che, a detta di suo padre (e del nonno, del cugino, della zia acquisita e dell’amico di famiglia) era un posto d’oro, che centinaia di persone avrebbero messo la firma per avere. Specie in tempi come questi.
Centinaia di persone tranne una.
Ma a nulla erano valsi tentativi di Alessio di spiegare a suo padre (e al nonno, cugino, zia, amico) che quell’uno era lui. Niente da fare, nemmeno quando aveva provato a far notare che, a suo modestissimo parere, non sarebbe stato proprio rispettoso nei confronti di chi davvero quel lavoro lo avrebbe voluto, che questo andasse a lui, lui che in quel momento davvero non ne voleva sapere. Per non parlare della totale inutilità di sollevare la solita ed annosa questione, circa il piccolo particolare che lui, nonostante la laurea breve in economia, presa per far piacere ai genitori, volesse fare il cantautore. O almeno ci volesse provare. E comunque, che a ventuno anni appena compiuti, con la prospettiva di averne davanti più di quaranta come forza attiva nella società, avesse il sacrosanto diritto di spendere un lustro ad inseguire il suo sogno. Visto poi che grazie al suo patentino da bagnino, coi suoi sei mesi di lavoro all’anno sgravava i genitori da diverse spese che lo riguardavano.
Ed ora era lì, a far da anticamera insieme a due ragazze sui trent’anni e ad un uomo, che poteva avere al’incirca quarantacinque anni, davanti all’ufficio del direttore-nonno, dove doveva esserci un altro candidato per quel posto, che però era già suo. Questo pensiero lo faceva sentire molto a disagio: si sentiva tanto in colpa, che a malapena era riuscito a salutare gli altri con un cenno del capo, leggero ed impacciato. Di fare conversazione non se ne parlava. Le due ragazze invece colloquiavano alquanto amabilmente del tempo, del traffico, del nuovo centro commerciale, ma la verità era che facevano a gara a chi dimostrava all’altra di avere più bisogno di quello stipendio. L’uomo non prendeva parte al gioco, anzi sembrava intento a leggere un quotidiano, ma la respirazione percettibilmente alterata, i movimenti ad allentare il nodo della cravatta ed il piedino che dondolava nervosamente, svelavano una tensione come a dire che, se avesse deciso di partecipare a quella gara al più miserabile, sicuramente avrebbe vinto lui.
E Alessio si volevo alzare, ma poi chi l’avrebbe sentito, suo padre, che aveva fatto fare brutta figura al cugino, alla zia, all’amico.
Uno dopo l’altro erano entrati tutti. Non sapeva cosa si fossero detti, in quell’ufficio, ma tutti quelli prima di lui uscivano con la speranza negli occhi e più uscivano sperando, più Alessio stava male; più stava male e più forte diventava il desiderio di fuggire e così fuggì, nell’unico modo che conosceva: scrivendo una canzone.
La “chiacchierata” col nonno-direttore era andata egregiamente: in effetti Alessio sarebbe stato davvero il profilo che faceva al caso loro e se n’era reso conto anche lui. Il commiato aveva lasciato chiaramente intendere che il vertice dell’azienda aveva molto apprezzato quel ragazzo, che gli era stato caldamente consigliato dalla parentela ramificata. Almeno, in questo modo, un po’ di quell’opprimente senso di colpa per aver sottratto qualcosa a qualcuno di più meritevole era sbiadito; era rimasta, tuttavia, la sgradevole sensazione di aver sottratto qualcosa a qualcuno che ne aveva più bisogno.
Non che l’offerta fosse poi così imperdibile come era stata dipinta: si trattava, infatti, di uno stage senza rimborso spese per tre mesi, seguito da un altro con rimborso spese, a scopo assunzione come apprendista nel giro di un anno e mezzo o due, per un’integrazione definitiva nell’azienda.
A parte il senso angosciante di claustrofobia che la cosa dava ad Alessio –ma era soggettiva-, il ragazzo non poteva non pensare non tanto alle due trentenni, quanto al signore che aveva circa l’età di suo padre: stage, rimborso spese, apprendistato…ripensandoci il suo colloquio era durato meno degli altri, probabilmente perché, una volta appurata l’età del candidato, la sua anagrafica s’era rivelata chiaramente inadeguata alla ricerca in corso.
Appena varcata la soglia di casa, Alessio si era chiuso in camera per cercare la musica adatta alle parole che aveva appena scritto. Sua madre stava consolando la sorella, che probabilmente s’era vista respingere l’ennesimo curriculum, e il padre non era ancora rientrato dal negozio. Sicuramente avrebbe telefonato, ma per fortuna lui si era fatto quella stanza insonorizzata e da lì nessuno l’avrebbe smosso fino a cena. Anzi, avrebbe tranquillamente potuto non cenare proprio, ma era consapevole del fatto che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare l’argomento.
Non era stato difficile intuire che la voce era già arrivata ai padiglioni auricolari paterni, perché lo sguardo di rabbia contenuta che accolse l’arrivo a tavola di Alessio era fin troppo eloquente: l’amico, la zia o il cugino avevano parlato.
Una serata da incubo e oltre al papà che lo diseredava e alla mamma che si vergognava, questa volta c’era anche sua sorella, che lo stava odiando per invidia e disperazione.
Sì, perché Alessio aveva osato l’impensabile: aveva rifiutato un posto fisso, che era ormai suo. E non l’aveva fatto solo per i sensi di colpa nei confronti delle due ragazze e del signore col piede nervoso; e non l’aveva rifiutato solo perché, a conti fatti, in fondo si trattava di lavorare un anno gratis; né l’aveva fatto solo perché voleva provare ad inseguire il suo sogno: Alessio aveva rifiutato per tutti e tre questi motivi messi assieme. Ed anche un po’ per principio e sfida, perché rifiutare un lavoro che non soddisfaceva le sue aspettative non poteva non essere un suo legittimo diritto.
Per non dire che il mese successivo ci sarebbero state le selezioni per quel talent show in cerca di nuovi voci e lui voleva dedicare tutto l’impegno, l’anima e le energie positive, per far sì che il suo dono, che era il suo desiderio, diventasse anche il suo destino.
L’indomani in spiaggia il proprietario del lido gli aveva dato il buongiorno coi pollici in su, alla Fonzie; il suo collega l’aveva salutato con un’amichevole botta di cretino; un gruppo di turisti, clienti da tre settimane, l’avevano squadrato in malo modo, per poi voltargli le spalle senza degnarlo di ulteriore attenzione, se non quella necessaria per cercare di tenergli nascosto che stavano parlando di lui. Passata la sensazione del tipo Truman Show, Alessio aveva deciso di chiedere spiegazioni al collega, per scoprire con stupore e disappunto che tutti in provincia ormai sapevano che era stato proprio lui, colui che per viltade fece il gran rifiuto.
Sì, perché una radio locale (della nonna della sorella del cugino dell’amico di famiglia) aveva messo in giro la scioccante notizia di un ingrato giovine abile al lavoro, che aveva gettato alle ortiche un’occasione ambita da molti, con la sola motivazione di continuare a fare il bagnino, per stare in mezzo alle belle ragazze.
Alessio voleva ridere e voleva piangere: ridere del telefono senza fili che spesso sono le comunicazioni tra umani, piangere per l’ennesima prova di mancanza di empatia del prossimo, nei confronti dei suoi simili; e voleva ridere di come la gente faccia in fretta a diventare giudice, piangere per come si creino velocemente vittime e carnefici. E voleva fuggire, così scrisse un’altra canzone.
Nelle tre settimane successive non aveva potuto muovere un passo, senza che qualcuno lo additasse o si sentisse in diritto di fermarlo, per criticare apertamente le sue scelte di vita. Un suo coetaneo era arrivato addirittura a minacciarlo, urlandogli in faccia ed accusandolo di essere la causa di tutto ciò che nella vita gli andava storto: avevano dovuto tenerlo in tre, per evitare che gli si scagliasse addosso.
Nelle tre settimane successive Alessio provò così tante volte il desiderio di fuggire, che il giorno delle selezioni aveva un numero di pezzi sufficienti ad incidere un intero album.
***
“Caro Alessio,
siamo rimasti così colpiti dalla tua esibizione, dal tuo talento, la tua passione, la freschezza e la straordinaria capacità di trasmettere ognuna delle emozioni che provi!
Perdonaci, se non ti abbiamo contattato prima, ma ci hai talmente impressionati, che stavamo studiando per te qualcosa che esuli dallo show, alle cui selezioni hai preso parte.
Era infatti nostra intenzione comunicarti la nostra decisione unanime di incidere un singolo, seguito da un CD, con tutte le tue canzoni che ci hai permesso di ascoltare. E facci anche sapere se ne hai delle altre.
Ti aspettiamo al più presto all’indirizzo in calce.
Grazie.”
La mamma aveva appena finito di leggere la lettera e la voce le tremava; il papà stava reggendo il foglio, perché si era accorto che alla prima riga le mani della signora non riuscivano a sopportare l’emozione; la sorella piangeva. Aspettavano un cenno, un movimento qualunque, ma Alessio restava fermo, in silenzio, con gli occhi chiusi. Come sempre, da quando qualcuno l’aveva picchiato mentre rincasava dall’audizione, lasciandolo in coma sul marciapiede. Pare che l’aggressore abbia detto “adesso sì, adesso sì, che hai una scusa per rifiutare.”