A guardarla da un punto di vista più ampio e meno contingente, la lotta a favore delle nozze tra omosessuali mi ricorda troppo certo femminismo che, al fine di garantire pari diritti per uomini e donne, ambiva a trasformare le donne in uomini.
Il matrimonio, signori e signore, è solo ed esclusivamente un attestato di proprietà. E adesso non fate gli scandalizzati: rinfoderate il vostro romanticismo e le vostre cinquanta sfumature, ché nulla hanno a che vedere con il contratto matrimoniale. Sì, perché è esattamente così che sia chiama, "contratto", o anche e peggio ancora "istituzione": solida, marmorea, quadrata, ingombrante, anonima e brutta, come un edificio fascista, è l'istituzione del matrimonio. E se provate a leggerla con la voce narrante di Fantozzi quando dice "La corazzata Potemkin", rende ancora più l'idea. Nessuno si sposa per amore e chi sostiene di farlo mente - a sé stesso, prima di tutto-, perché per amore si sta con una persona punto, mentre organizzare una cerimonia pubblica, acquistare abiti, offrire portate succulenti, aspettarsi di ricevere doni in cambio, non è amore per nulla: è affermazione di dominio, una comunicazione chiara ed inequivocabile per cui "lei è mia" e "lui è mio" e se lo metto per iscritto, ci metto sopra un bel timbro e innaffio il tutto con Champagne e pubblicazioni in rete, mi sento sicuro di aver comunicato questo possesso a tutti, ma proprio a tutti. Anche a lui e a lei, così posso finalmente stare tranquillo per tutta la vita, perché se lui o lei osa rescindere questo contratto, io posso per legge fargli il culo.
Ed è proprio per questo che tanti matrimoni falliscono, perché sono innaturali: vincolano la libertà degli individui e gli individui bramano la libertà, che è anche solo libertà di scegliere "io scelgo di stare con te e vorrei che fosse per tutta la vita, ma lo scelgo io, lo scegli tu, lo scegliamo insieme e non ce lo impone nessuno, soprattutto non ce lo imponiamo noi stessi". Ed è per questo che alcuni matrimoni funzionano: perché ci sono persone che bramano essere possedute, perché hanno il terrore di essere liberi - e soli.
E allora io dico, carissimi amici omosessuali, perché sprecare tempo ed energie per conquistare un diritto che in realtà è solo l'ennesimo dovere? Perché buttare via le forze per assicurarsi un altro ceppo, anziché concentrarvi sul semplice riconoscimento ad esistere? Perché porca di una troia è questo che non vi viene riconosciuto: non avete diritto ad esistere! Il matrimonio non è che una distrazione messa lì apposta sul vostro cammino per farvi smarrire la strada principale, e se ve lo dovessero concedere, oltre ad un modo per tenervi sotto controllo burocratico - schedati, marchiati, numerati -, sarebbe solo una caramella all'aceto.
Secondo me meritate di più. Come lo meritiamo tutti.
mercoledì 5 settembre 2012
lunedì 3 settembre 2012
Amiciamici, amici un cazzo.
Trovo che le relazioni tra gli esseri umani siano sempre più sbilanciate: c'è un'eco via via più ampia del disagio interiore dell'individuo, che si riflette in un crescente disequilibrio tra le parti, e va amplificandosi per l'utilizzo di network quali twitter, google+, facebook eccetera, sia per la natura intrinseca degli stessi, che per il modo in cui ad esse ci accostiamo (d'altronde gli ideatori di questi mezzi di comunicazione sono forse tra i primi ad accusare un forte disagio e le loro creature telematiche non sono che un tentativo di cura, partorito da un malato anziché da un medico). Spiego.
Per la maggior parte delle persone i rapporti umani soddisfano un bisogno di riconoscimento (sentirsi parte di un gruppo, essere apprezzati, ammirati, invidiati, compresi, appoggiati, desiderati, indispensabili, unici...) che è impossibile da soddisfare, ma non intrinsecamente, bensì perché se ne cerca soddisfazione negli altri: io mi sento vuota, incompleta, zoppa e cerco un appoggio all'esterno, nella persona che scelgo di aver accanto perché mi sembra che sia più stabile di me o che abbia le parti che a me mancano; ma a sua volta anche quella persona sta cercando un sostegno, anche solo uno specchio che gli rimandi un'immagine di sé che lui vorrebbe, ma che da solo non riesce ad avere, e così si crea un sistema di puntelli che diventa una massa tremolante fatta tutta di cunei, in cui se solo uno si sposta, crolla tutto. Così non solo ci impediamo di cercare bene e accorgerci che tutto quello che cerchiamo ce l'abbiamo già dentro, ma ci inventiamo le convenzioni sociali che ci proiettano irrimediabilmente verso l'esterno, e la morale comune per cui questo non si fa e quello non si dice, onde evitare che qualche cuneo si allontani e tutta l'impalcatura crolli, lasciandoci con le chiappe grattugiate sull'asfalto. Ed è anche il motivo per cui facciamo di tutto per buttare a terra quei pochi che stanno su da soli e ci osservano senza fare niente, perché ci sembra che non siano d'aiuto alla nostra struttura osteoporosica (mi sovviene una bella frase: "il chiodo che sporge viene preso a martellate", non ricordo dove l'ho letta). Da questo nascono quelle cose assurde e dannose per ognuno, quali "mi hai fatto esplodere il cuore in otto milioni di parti, ma se mi chiedi cosa c'è? ti rispondo niente, sennò corro il rischio che tu te ne vada e preferisco averti qui che mi massacri, piuttosto che lontano", "hai la faccia sporca di caccole verdognole, fai schifo che non riesco a guardarti, ma non te lo dico perché non si fa", "mi stai tremendamente sui coglioni, se ti rovinasse addosso un toro da due tonnellate riderei per la comicità della scena e mi dimenticherei di chiamare un'ambulanza - comunque tanto saresti morto-, ma ti saluto lo stesso perché è buona educazione", e "al pranzo di nozze siamo 500, ne conosco solo 20, ma non posso non invitare gli altri 480 sennò si offendono".
Più pericolosi dei rapporti di coppia, in questo senso, sono le amicizie. Sarà perché abbiamo inventato quel detto idiota che gli amori vanno e i veri amici restano, e così ci tocca ammanettare gli amici e chiuderli in cantina per evitare che scappino, e quando qualcuno riesce a liberarsi - ovviamente aiutato da un complice, perché non è concepibile l'idea che decida di allontanarsi tutto da solo, solo perché l'abbiamo rinchiuso nelle segrete a pane e acqua piovana - diventa una tragedia, un'onta indelebile, un rifiuto anzi, il rifiuto, e non ci diamo pace. Letteralmente non ci consentiamo di restare in pace con noi stessi, ci lasciamo possedere totalmente da emozioni potenti che si nutrono delle nostre energie, perché un nostro sostegno si è spostato e noi annaspiamo. L'esempio paradossale sono le amicizie di facebook: io annovero "solo" un centinaio di questi amici, perché ho deciso un metodo di selezione che poi null'altro è se non una protezione, eppure quando mi arriva una richiesta di amicizia da qualcuno che non rientra nei miei criteri e gli spiego "ciccio, ti ringrazio ma non accetto caramelle dagli sconosciuti", puntualmente quello si offende; oppure quelli che ti accorgi che davvero non hai nulla a che vedere e quindi li cancelli dalle amicizie, perché magari pubblicano foto di svastiche e carri armati o passano la vita ad occuparsi solo di cosa va di moda di quindici giorni in quindici giorni e tu vai in giro vestita di iuta. Niente, tutti prendiamo un rifiuto come il rifiuto, anche se viene da un emerito sconosciuto o da una persona con cui non abbiamo in comune neppure il verso in cui sistemiamo la carta igienica sul rotolo, senza riuscire a vedere che "tu non mi piaci" significa tu non piaci a me e non "tu sei una merdaccia".
Insomma, non riusciamo a capire che abbiamo diritto a cercare quello che ci permette di stare bene e ad allontanare ciò che ci ferisce, e così passiamo il nostro tempo a fare l'esatto contrario, a sacrificarci per, a sopportare, mandare giù veleno, elemosinare manifestazioni di affetto da persone che, non per causa loro, ci fanno del male: siamo noi che chiediamo agli altri qualcosa che ci può arrivare solo da noi stessi e perdiamo il nostro tempo ad accusarli di non darci ciò che ci serve, mentre restiamo lì nella vana speranza di ottenere prima o poi l'inottenibile. Quindi se io scelgo di non rivolgerti più la parola è perché ho scelto di svincolarmi da questo gorgo di infelicità per farmi del bene, perché ho capito che da te non mi arriva nulla di ciò che voglio ed è un'occasione anche per te, che adesso potresti avere una catena in meno, se sfili il tuo polso come io ho sfilato il mio.
Che poi tu sia anche un ottuso bastardo viziato e infantile stronzo ricattatore manipolatore è una questione che non mi riguarda.
E comunque, la cosa più importante è che quei pochi che stanno lì in piedi da soli e ci osservano senza fare niente sono gli unici che davvero ci stanno aiutando, perché ci mostrano che stare in piedi da soli è possibile.
Per la maggior parte delle persone i rapporti umani soddisfano un bisogno di riconoscimento (sentirsi parte di un gruppo, essere apprezzati, ammirati, invidiati, compresi, appoggiati, desiderati, indispensabili, unici...) che è impossibile da soddisfare, ma non intrinsecamente, bensì perché se ne cerca soddisfazione negli altri: io mi sento vuota, incompleta, zoppa e cerco un appoggio all'esterno, nella persona che scelgo di aver accanto perché mi sembra che sia più stabile di me o che abbia le parti che a me mancano; ma a sua volta anche quella persona sta cercando un sostegno, anche solo uno specchio che gli rimandi un'immagine di sé che lui vorrebbe, ma che da solo non riesce ad avere, e così si crea un sistema di puntelli che diventa una massa tremolante fatta tutta di cunei, in cui se solo uno si sposta, crolla tutto. Così non solo ci impediamo di cercare bene e accorgerci che tutto quello che cerchiamo ce l'abbiamo già dentro, ma ci inventiamo le convenzioni sociali che ci proiettano irrimediabilmente verso l'esterno, e la morale comune per cui questo non si fa e quello non si dice, onde evitare che qualche cuneo si allontani e tutta l'impalcatura crolli, lasciandoci con le chiappe grattugiate sull'asfalto. Ed è anche il motivo per cui facciamo di tutto per buttare a terra quei pochi che stanno su da soli e ci osservano senza fare niente, perché ci sembra che non siano d'aiuto alla nostra struttura osteoporosica (mi sovviene una bella frase: "il chiodo che sporge viene preso a martellate", non ricordo dove l'ho letta). Da questo nascono quelle cose assurde e dannose per ognuno, quali "mi hai fatto esplodere il cuore in otto milioni di parti, ma se mi chiedi cosa c'è? ti rispondo niente, sennò corro il rischio che tu te ne vada e preferisco averti qui che mi massacri, piuttosto che lontano", "hai la faccia sporca di caccole verdognole, fai schifo che non riesco a guardarti, ma non te lo dico perché non si fa", "mi stai tremendamente sui coglioni, se ti rovinasse addosso un toro da due tonnellate riderei per la comicità della scena e mi dimenticherei di chiamare un'ambulanza - comunque tanto saresti morto-, ma ti saluto lo stesso perché è buona educazione", e "al pranzo di nozze siamo 500, ne conosco solo 20, ma non posso non invitare gli altri 480 sennò si offendono".
Più pericolosi dei rapporti di coppia, in questo senso, sono le amicizie. Sarà perché abbiamo inventato quel detto idiota che gli amori vanno e i veri amici restano, e così ci tocca ammanettare gli amici e chiuderli in cantina per evitare che scappino, e quando qualcuno riesce a liberarsi - ovviamente aiutato da un complice, perché non è concepibile l'idea che decida di allontanarsi tutto da solo, solo perché l'abbiamo rinchiuso nelle segrete a pane e acqua piovana - diventa una tragedia, un'onta indelebile, un rifiuto anzi, il rifiuto, e non ci diamo pace. Letteralmente non ci consentiamo di restare in pace con noi stessi, ci lasciamo possedere totalmente da emozioni potenti che si nutrono delle nostre energie, perché un nostro sostegno si è spostato e noi annaspiamo. L'esempio paradossale sono le amicizie di facebook: io annovero "solo" un centinaio di questi amici, perché ho deciso un metodo di selezione che poi null'altro è se non una protezione, eppure quando mi arriva una richiesta di amicizia da qualcuno che non rientra nei miei criteri e gli spiego "ciccio, ti ringrazio ma non accetto caramelle dagli sconosciuti", puntualmente quello si offende; oppure quelli che ti accorgi che davvero non hai nulla a che vedere e quindi li cancelli dalle amicizie, perché magari pubblicano foto di svastiche e carri armati o passano la vita ad occuparsi solo di cosa va di moda di quindici giorni in quindici giorni e tu vai in giro vestita di iuta. Niente, tutti prendiamo un rifiuto come il rifiuto, anche se viene da un emerito sconosciuto o da una persona con cui non abbiamo in comune neppure il verso in cui sistemiamo la carta igienica sul rotolo, senza riuscire a vedere che "tu non mi piaci" significa tu non piaci a me e non "tu sei una merdaccia".
Insomma, non riusciamo a capire che abbiamo diritto a cercare quello che ci permette di stare bene e ad allontanare ciò che ci ferisce, e così passiamo il nostro tempo a fare l'esatto contrario, a sacrificarci per, a sopportare, mandare giù veleno, elemosinare manifestazioni di affetto da persone che, non per causa loro, ci fanno del male: siamo noi che chiediamo agli altri qualcosa che ci può arrivare solo da noi stessi e perdiamo il nostro tempo ad accusarli di non darci ciò che ci serve, mentre restiamo lì nella vana speranza di ottenere prima o poi l'inottenibile. Quindi se io scelgo di non rivolgerti più la parola è perché ho scelto di svincolarmi da questo gorgo di infelicità per farmi del bene, perché ho capito che da te non mi arriva nulla di ciò che voglio ed è un'occasione anche per te, che adesso potresti avere una catena in meno, se sfili il tuo polso come io ho sfilato il mio.
Che poi tu sia anche un ottuso bastardo viziato e infantile stronzo ricattatore manipolatore è una questione che non mi riguarda.
E comunque, la cosa più importante è che quei pochi che stanno lì in piedi da soli e ci osservano senza fare niente sono gli unici che davvero ci stanno aiutando, perché ci mostrano che stare in piedi da soli è possibile.
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